Nel guscio di Ian McEwan – un Amleto nel ventre materno
Trasportare l’Amleto in epoca contemporanea è una pratica che ciclicamente viene ripetuta, ma nessuno – credo – aveva mai messo nei panni del giovane principe un bambino ancora nel grembo materno.
Il narratore de Nel guscio di McEwan (di cui abbiamo già suggerito la lettura di Cortesie per gli ospiti) è un nascituro che, dal grembo materno, riesce ad ascoltare il mondo che lo aspetta e, grazie alle informazioni ricevute dai programmi radiofonici di cui è appassionata la madre Trudy, conosce le differenze tra un Sauvignon Blanc e un Èchézeaux Grand Cru, le debolezze delle politiche di welfare e l’Ulisse di Joyce.
Ma soprattutto, il nostro sa che ad aspettarlo c’è un futuro drammatico. La madre, infatti, complotta con lo zio Claude per eliminare il marito – e padre del narratore – in modo da ereditare un immobile di grande valore. Il narratore è inorridito dall’efferatezza del piano dei due amanti, tra l’altro a scapito di un uomo buono come John Cairncross, editore amante della poesia, maestro per i suoi autori, innamorato follemente della donna che pianifica la sua morte.
Se il protagonista del dramma shakespeariano è bloccato dal suo carattere, dalle riflessioni e dai fantasmi, quello di Nel guscio è fisiologicamente costretto all’inazione, allo stesso tempo difeso e progioniero del ventre di Trudy.
Vivere confinati in un guscio di noce, vedere il mondo in due pollici di avorio, in un granello di sabbia. Perché no, quando la letteratura tutta, e l’arte, e ogni impresa umana non sono che puntini nell’universo del possibile? Quando l’universo stesso potrebbe rivelarsi un puntino in una moltitudine di universi reali e possibili?
Oltre a essere preoccupato per la sorte del padre, consapevole di non poterlo difendere né avvertire, il narratore teme per la propria. Cosa sarà di lui, se i futuri assassini dovessero essere catturati? Crescerebbe in una cella? E se la facessero franca?
Ecco cosa succede, come va la storia quando siamo a conoscenza di un crimine a partire dal suo concepimento. Non possiamo fare a meno di schierarci dalla parte dei colpevoli e dei loro piani, di salutare sventolando i fazzoletti dalla banchina il loro piccolo bastimento carico di pessime intenzioni. Bon voyage! Non è facile, è un’impresa uccidere qualcun e farla franca. Il successo è definito in termini di <<delitto perfetto>>. E la perfezione, si sa, non è di questo mondo. A bordo, qualcosa andrà storto di sicuro, qualcuno inciamperà in una cima non addugliata, l’imbarcazione tenderà a una deriva sud-sudovest. Una fatica immane, e in alto mare.
Stretto tra le preoccupazioni, l’amore-odio verso la madre, il disgusto verso lo zio, la poca fiducia verso l’Occidente in cui ha avuto la fortuna di nascere – o meglio, per il momento, di essere concepito – il protagonista-narratore di Nel guscio vaglierà anche l’idea di strangolarsi col cordone ombelicale, preferendo poi desistere.
Non sono i parchi a tema di Paradiso e Inferno a terrorizzarmi di più – né le giostre celesti né le bolge infernali – e potrei anche vivere nell’insulto dell’oblio eterno. Quello che mi spaventa è perdermi qualcosa. Che si tratti di un sano desiderio o di mera ingordigia, la mia infinitesimale fettina di eternità e una discreta opportunità di coscienza. Mi spetta qualche decennio per sfidare la sorte su un pianeta mulinante a ruota libera. È questo il mio giro in giostra – il Muro della Vita. Voglio la mia corsa. Voglio diventare. In altre parole, c’è un libro che mi preme leggere: non ancora pubblicato, e non ancora nemmeno scritto, anche se un inizio c’è già. Voglio leggere fino alla fine la mia Storia del ventunesimo secolo. Voglio trovarmi laggiù, all’ultima pagina, superati da poco gli ottanta, gracile ma ancora arzillo, a ballarmi una giga, la notte del 31 dicembre 2099.
Consigli di lettura su romanzi di autori inglesi:
Una donna di mondo di William Somerset Maugham