L’influenza della notte sull’artista e sull’uomo – Sepùlveda e la foresta
Scrivere di notte, e anche leggere, ha tutto un altro sapore rispetto al farlo con la luce del sole che entra dalla finestra, e di questo mi sono convinto presto.
Luis Sepùlveda è l’autore del primo libro che ho letto per caso.
Fino a un certo punto della mia vita avevo letto solo quei romanzi – di Avventura per ragazzi – che mi erano stati specificatamente regalati da qualcuno. Poi, nell’estate del ’96, durante la villeggiatura al mare, qualcuno lasciò su una mensola della stanza in cui dormivo una copia de Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare. Per qualche notte – se non ricordo male all’epoca avevo il coprifuoco a mezzanotte – dopo essere tornato a casa e prima di spegnere la luce passai un po’ di tempo con gli animali protagonisti di questa storia. Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare viene considerata una favola per bambini, tanto che spesso la sua lettura è consigliata agli studenti delle scuole elementari o medie, anche se in realtà, visto che parla di accettare e aiutare il diverso, potrebbe essere indicata anche per molti adulti.
Ma se Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare è una pubblicazione del ’96, Sepùlveda ha esordito sette anni prima con Il vecchio che leggeva romanzi d’amore (portato sul grande schermo nel 2001 con titolo omonimo). Il protagonista di questo romanzo, Antonio Josè Bolívar Proaño, è appunto un vecchio che vive a El Idilio, un villaggio situato lungo il fiume Nangaritza, in Amazzonia. Antonio Josè Bolívar Proaño non ha sempre abitato a El Idilio; per alcuni anni infatti ha vissuto insieme agli shuar, una tribù indigena, imparando a conoscere a fondo la foresta.
Quando un tigrillo, inferocito per lo sterminio dei suoi cuccioli, si aggira minaccioso intorno al villaggio per vendicarsi dell’uomo, il sindaco convince Antonio Josè Bolívar Proaño a far parte della spedizione per abbattere il felino.
Durante la caccia al tigrillo, Antonio Josè Bolívar Proaño rivive molte delle esperienze fatte insieme agli shuar, e a un certo punto gli torna in mente un loro modo di dire.
Era un rumore vitale in mezzo all’oscurità. Era come dicono gli shuar: di giorno c’è l’uomo e la foresta.
Di notte l’uomo è la foresta.
Di giorno c’è l’uomo e la foresta. Di notte l’uomo è la foresta.
Nell’universo narrativo la paternità della frase appartiene agli shuar, ma nella realtà è ovviamente l’autore, Sepùlveda, a mettere la frase all’interno del romanzo. È una frase bella, una frase che fa effetto. Si può citare al bar o sui social per darsi un tono.
Ma quando stimi un autore, pensi che non scelga le frasi solo per il loro suono o il valore estetico.
Non solo sono convinto che il fatto che la notte cambi le carte in tavola non vale solo per chi vive a stretto contatto con la natura, ma credo anche che in questa frase Sepùlveda abbia messo anche un po’ di quello che fa, e cioè scrivere.
Naturalmente, non posso sapere se Sepùlveda preferisca scrivere di notte o in un altro momento della giornata, ma è innegabile che la notte abbia un effetto non indifferente su molte persone che svolgono – anche non professionalmente – un’attività creativa.
In genere, nelle cose che scrivo, cerco di smontare quei luoghi comuni che l’immaginario collettivo attribuisce alla scrittura creativa; il fascino della notte non è, però, un luogo comune.
Chi scrive – racconti, canzoni o qualsiasi altra cosa – di notte, non lo fa per scimmiottare un modello o perpetrare uno stereotipo. Questo, forse, potrebbe valere per chi sostiene di scrivere di notte senza farlo davvero. Ma chi davvero sopporta la stanchezza e rinuncia al sonno, lo fa notte per l’ispirazione che regala l’atto di scrivere di notte.
Con ispirazione non intendo la quantità di idee che possono venire su cosa raccontare; mi riferisco invece a una maggiore comprensione del legame che c’è tra cosa stiamo raccontando e noi stessi che lo stiamo raccontando.
Il vero motivo per cui una storia a cui stiamo lavorando è importante per noi non sempre – anzi, quasi mai – lo sappiamo fin dall’inizio. Lo capiamo col tempo, capirlo è fondamentale per raccontarla meglio, e la notte, spesso, ci aiuta a capire tante cose di noi e della nostra scrittura.
Altri articoli su scrittura e creatività:
A che ora e dove preferiva scrivere Cortázar?
A proposito di personaggi femminili – Morena, Jack Nicholson, John Updike e le differenze