Limonov di Emmanuel Carrère
Il sito ufficiale della casa editrice Adelphi, nella pagina dedicata a Limonov di Emmanuel Carrère, indica, sotto la voce temi: Biografie, Reportage, Letteratura Francese. Wikipedia, invece, nella voce relativa all’opera la definisce un romanzo.
Non è facile, del resto, trovare una definizione quando si ha a che fare con Carrère, di cui abbiamo già visto il cambiamento di stile tra La settimana bianca e L’avversario. Proprio con L’avversario, l’autore francese iniziò a raccontare in modo tale da dare un taglio unico alle sue opere, e questo rende anche Limonov una biografia molto diversa dall’ordinario.
Se il protagonista è naturalmente Eduard Limonov, poeta e politico (e molto altro) russo, Emmanuel Carrère ne parla con la sua tipica prima persona, trovando con forza posto dentro la storia sebbene abbia incontrato Limonov in poche occasioni.
Nell’introduzione al testo possiamo leggere:
Eduard Limonov non è un personaggio inventato. E se Emmanuel Carrère (nato a Parigi nel 1957 da una famiglia di origini russe, e considerato oggi il più brillante degli scrittori della sua generazione) ha deciso di raccontarne le avventure – alla lettera, straordinarie, e di sicuro irresistibili, ma anche scandalose, sordide, patetiche – è perché pensava <<che la sua vita romanzesca e spericolata raccontasse qualcosa, non soltanto di lui, ma della storia di noi tutti dopo la fine della seconda guerra mondiale>>.
La vita di Limonov in effetti racconta tanto, racconta di un uomo capace di inventarsi e reinventarsi in ruoli diversissimi l’uno dall’altro (poeta, senzatetto, truffatore, editore, agitatore politico, guerrigliero) e racconta soprattutto di come l’immagine di questo sia diversamente percepita dalla collettività nel corso dei vari cambiamenti.
La lettura di Limonov è sicuramente indicata per chi non crede che la verità sia soltanto una, e ama testi capaci di spaziare e scavare in profondità.
Di paradossi, nell’opera, ne troviamo tantissimi. Uno clamoroso riguarda gli amici che Eduard Limonov, nato nel 1942 in una città sulle rive del Volga, frequenta da ragazzo. Sono dei veri criminali, che per divertirsi aggrediscono una coppia di sconosciuti, picchiano lui e stuprano lei. In maniera quasi incredibile, sono pure ragazzi che amano la poesia, ascoltano con attenzione un concorso per componimenti poetici, e ne sanno così tanto da riconoscere nei versi di un partecipante un plagio a Evgenij Evtušenko.
Cresciuto tra violenza e arte, tra il peggio e il meglio che caratterizza l’essere umano, Limonov non può non essere un uomo con mille sfumature.
Dopo un periodo trascorso a New York, lavorando prima come traduttore per un giornale e poi come maggiordomo, otterrà finalmente il successo letterario con un romanzo autobiografico. Nel libro, Limonov racconta di come, in assenza del padrone di casa, si coricava nel suo letto, fumava canne nella sua vasca da bagno e portava ragazze in casa spacciandosi per il proprietario. A colpire i lettori, però, è soprattutto il cinismo con cui Limonov racconta della leucemia di un bambino di cinque anni, figlio di una coppia di vicini del suo datore di lavoro. Sul punto, Carrère scrive così:
<<Che figlio di puttana!>> pensa Steven, e lo penso anch’io, e probabilmente anche tu, lettore. Tuttavia, penso anche che se si fosse potuto fare qualcosa per salvare il bambino, meglio ancora qualcosa di difficile o pericoloso, il primo che si sarebbe dato da fare e si sarebbe gettato nella lotta con tutte le proprie forze sarebbe stato Eduard.
Particolarmente interessanti (nonché di difficile, se non impossibile, sintesi data la loro importanza) i passaggi relativi alla guerra di Jugoslavia – in immagini della BBC Limonov compare insieme a Radovan Karadžić, ex Presidente della Repubblica Serba, accusato di crimini di guerra e genocidio – e al putsch di agosto – il colpo di Stato tentato in Unione Sovietica nel 1991.
Concludo tornando all’inizio dell’opera, e riportando le parole con cui lo stesso Carrère introduce Limonov:
Da quanto tempo non pensavo a lui? L’avevo conosciuto all’inizio degli anni Ottanta, quando si era trasferito a Parigi aureolato del successo di un romanzo scandaloso, Il poeta russo preferisce i grandi negri, in cui raccontava la propria miserabile e splendida esistenza a New York, dopo aver abbandonato l’Unione Sovietica. Lavoretti saltuari, vita alla giornata in uno squallido albergo e talvolta per strada, accoppiamenti etero e omosessuali, sbronze, furti e risse: per la violenza e la rabbia poteva far pensare alla deriva urbana di Robert De Niro in Taxi Driver, per lo slancio vitalistico ai romanzi di Henry Miller, del quale Limonov aveva la scorza dura e la cannibalesca placidità. Era un libro notevole, e il suo autore, a conoscerlo, non deludeva. All’epoca eravamo abituati a dissidenti sovietici barbuti e seri, malvestiti, che abitavano in angusti appartamenti zeppi di libri e di icone dove trascorrevano nottate intere a parlare di come l’ortodossia avrebbe salvato il mondo – e ci trovavamo davanti un tipo sexy, smaliziato, spiritoso, che sembrava al contempo un marinaio in libera uscita e una rockstar. Eravamo in piena moda punk, Limonov aveva eletto a suo ero Johnny Rotten, il leader dei Sex Pistols, e non si faceva scrupolo di definire Solženicyn un vecchio coglione. Era una boccata d’aria fresca, quella sua dissidenza new wave, e sin dal suo arrivo Limonov divenne il cocco del piccolo mondo letterario parigino – nel quale anch’io muovevo timidamente i primi passi. Non era un romanziere: sapeva raccontare soltanto la sua vita, ma la sua vita era appassionante e lui la raccontava bene, con uno stile semplice concreto, senza vezzi letterari, con l’energia di un Jack London russo.
Link ad altri suggerimenti di lettura:
Avventure della ragazza cattiva di Mario Vargas Llosa
Una donna di mondo di W. Somerset Maugham