A proposito di incipit – Come inizia Sostiene Pereira di Antonio Tabucchi
Esistono varie definizioni, più o meno elaborate, esaustive e argute, di cosa è, come funzione e come dovrebbe essere scritto l’incipit di un romanzo.
Personalmente, preferisco quella che considera l’incipit come una sorta di promessa: l’autore, attraverso le prime righe dell’opera, propone al lettore un patto relativo alla lettura della storia anticipandogli di cosa, e soprattutto come, racconterà.
Per questo, in libreria, sono più portato a leggere l’inizio di un romanzo piuttosto che la quarta di copertina.
Questa sezione del sito si ripropone di realizzare la stessa dinamica. A differenza dei consigli della sezione Letture, in cui si trattano le sensazioni che un romanzo può suscitare e gli spunti di riflessione che può suggerire, qua, fatta eccezione per alcune basilari informazioni sull’opera di turno, si permette al lettore di gustarsi interamente il patto che lo scrittore ha voluto proporgli.
Dopo Moby Dick, Una storia tra due città e Cent’anni di solitudine, è la volta di Sostiene Pereira.
Sostiene Pereira, opera più famosa del pisano Antonio Tabucchi, vanta ventidue traduzioni all’estero, il Premio Campiello, il Premio Viareggio-Repaci e il Prix Européen Jean Monnet.
Dopo aver avuto l’idea nell’estate del 1992, Tabucchi scrisse il romanzo l’estate seguente, in due mesi, lavorando ogni giorno da mezzogiorno alle sette, in una sorta di ossessione creativa, come lo stesso autore la definì.
La storia, ambientata a Lisbona nel 1938, in pieno regime salazarista, fa sposare la mediocrità e il coraggio, l’apatia e il sogno, dando vita a un grande romanzo civile che inizia così:
Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d’estate. Una magnifica giornata d’estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava. Pare che Pereira stesse in redazione, non sapeva che fare, il direttore era in ferie, lui si trovava nell’imbarazzo di mettere su la pagina culturale, perché il “Lisboa” aveva ormai una pagina culturale, e l’avevano affidata a lui. E lui, Pereira, rifletteva sulla morte. Quel bel giorno d’estate, con la brezza atlantica che accarezzava le cime degli alberi e il sole che splendeva, e con una città che scintillava, letteralmente scintillava sotto la sua finestra, e un azzurro, un azzurro mai visto, sostiene Pereira, di un nitore che quasi feriva gli occhi, lui si mise a pensare alla morte. Perché? Questo a Pereira è impossibile dirlo. Sarà perché suo padre, quando lui era piccolo, aveva un’agenzia di pompe funebri che si chiamava Pereira La Dolorosa, sarà perché sua moglie era morta di tisi qualche anno prima, sarà perché lui era grasso, soffriva di cuore e aveva la pressione alta e il medico gli aveva detto che se andava avanti così non gli restava più tanto tempo, ma il fatto è che Pereira si mise a pensare alla morte, sostiene. E per caso, per puro caso, si mise a sfogliare una rivista. Era una rivista letteraria, che però aveva anche una sezione di filosofia. Una rivista d’avanguardia, forse, di questo Pereira non è sicuro, ma che aveva molti collaboratori cattolici. E Pereira era cattolico, o almeno in quel momento si sentiva cattolico, un buon cattolico, ma in una cosa non riusciva a credere, nella resurrezione della carne. Nell’anima sì, certo, perché era sicuro di avere un’anima; ma tutta la sua carne, quella ciccia che circondava la sua anima, ebbene, quella no, quella non sarebbe tornata a risorgere, e poi perché?, si chiedeva Pereira. Tutto quel lardo che lo accompagnava quotidianamente, il sudore, l’affanno a salire le scale, perché dovevano risorgere? No, non voleva più tutto questo, in un’altra vita, per l’eternità, Pereira, e non voleva credere nella resurrezione della carne. Così si mise a sfogliare quella rivista, con noncuranza, perché provava noia, sostiene, e trovò un articolo che diceva: <<Da una tesi discussa il mese scorso all’Università di Lisbona pubblichiamo una riflessione sulla morte. L’autore è Francesco Monteiro Rossi, che si è laureato in Filosofia a pieni voti, e questo è solo un brano del suo saggio, perché forse in futuro egli collaborerà nuovamente con noi>>.
Dal romanzo è stato tratto l’omonimo film del 1995, con un ap plauditissimo Marcello Mastroianni nei panni di Pereira, e una graphic novel ad opera di Marino Magliani e Marco D’Aponte pubblicata da Tunué nel 2014.
Per leggere altri incipit:
Come inizia Cent’anni di solitudine
Come inizia Una storia tra due città