Super-Cannes di J.G. Ballard
Super-Cannes di J.G. Ballard dovrebbe essere presente sul comodino di ogni lettore che ama la creazione della suspense tramite un coinvolgente what if?
Come sarebbe la nostra vita se avessimo la possibilità di abitare in un luogo incantevole, altamente tecnologico, insieme all’elité della finanza, dell’economia e della scienza? La risposta può sembrare ovvia, ma naturalmente Super-Cannes di J.G. Ballard ci porterà in una direzione inattesa.
In precedenza abbiamo parlato di un’altra opera dello scrittore britannico, Il condominio, e le due opere, pur passandosi esattamente venticinque anni (risale al 1975 Il condominio, mentre Super-Cannes è stato pubblicato nel 2000) presentano una dinamica simile: all’inizio della narrazione un luogo ci appare come un paradiso, non solo da un punto di vista estetico ma anche esistenziale, mentre andando avanti con la lettura ci saranno mostrare tutte le sue ombre.
Ballard è un maestro nel creare la suspense rilasciando gradualmente le informazioni, ma nel caso di Super-Cannes già nell’incipit troviamo un’anticipazione che ci fa intuire la tragicità della vicenda.
La prima persona che incontrai a Eden-Olympia fu uno psichiatra, e forse il fatto che sia stato proprio uno specialista in malattie mentali a farmi da guida in questa “città intelligente” sulle colline sopra Cannes non fu affatto un caso. Adesso mi rendo conto che sui palazzi di uffici del parco tecnologico incombeva una specie di follia, come uno stato di guerra non dichiarata. Certo è che per la maggior parte di noi il dottor Wilder Penrose si rivelò un amabile Prospero, lo psicopompo capace di portare i nostri sogni più tenebrosi alla luce del giorno. Ricordo il suo sorriso entusiasta quando ci salutammo, e gli occhi sfuggenti mi indussero a diffidare della sua mano tesa. Solo quando imparai finalmente ad apprezzare quest’uomo labile e pericoloso riuscii a pensare di ucciderlo.
Le parole appartengono al protagonista-narratore Paul Sinclair, un ex-pilota che raggiunge Eden-Olympia, lussuosa enclave tecnologica costruita sulle colline alle spalle della Croisette per attrarre l’insediamento delle maggiori multinazionali, perché a sua moglie Jane viene offerto un posto da pediatra.
Eden-Olympia è un complesso residenziale fuori dall’ordinario, sia per il forte carattere tecnologico che per le abitudini dei residenti. Paul si sente un pesce fuor d’acqua, e per di più è reduce da un incidente di volo. I dolori della convalescenza e le nebbie degli antidolorifici aumentano il suo straniamento, e ci fanno domandare se sia un narratore attendibile o meno.
Di sicuro, Ballard ci porta a condividere i sospetti del protagonista perché sappiamo che il predecessore di Jane ha dato di matto, uccidendo nove persone prima di essere eliminato a sua volta dalla sicurezza. Questo è il più clamoroso, ma non l’unico atto di violenza di cui Paul viene a conoscenza e su cui vuole saperne di più.
Ruolo fondamentale sarà quello del dottor Wilder Penrose, già citato nell’incipit, che ricorda il colonnello Kurtz interpretato da Marlon Brando in Apocalypse Now (più che il signor Kurtz “originale” da Cuore di tenebra di Joseph Conrad) sia per l’imponenza fisica che per la visionarietà.
Naturalmente scopriremo – è tanto ovvio che posso scriverlo senza rovinare la lettura – che la perfezione, presunta, di Eden-Olympia e la violenza, reale, di certi eventi che accadranno nelle vicinanze del complesso stesso sono legate, e il legame in questione ci porterà a riflettere su vari paradossi della società, sia di quella utopica o distopica, ma certamente immaginaria di Super-Cannes di J.G. Ballard che di quella in cui viviamo.
Ci sono cose che Eden-Olympia non è in grado di affrontare… una chiave che si rompe nella serratura, il gabinetto che si ingorga, il fatto che uno si innamori di una drogata. Il mondo di tutti i giorni, dove vive ancora la razza umana. A Eden-Olympia non è mai arrivato.
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