A proposito di incipit – come inizia Moby Dick
Si potrebbero dividere i lettori in due gruppi: quelli che scelgono in base all’immagine di copertina, al titolo o alla sinossi, e quelli che in libreria non possono fare a meno di aprire il volume che hanno tra le mani per leggere il primo periodo o la prima pagina.
Agli appartenenti al secondo gruppo non interessa tanto sapere di cosa parla l’autore, quanto come parla. Vogliono assaporarne la voce, perché, se lo sceglieranno, procederanno insieme per un percorso di qualche centinaio di pagine.
Esistono incipit così famosi da essere noti anche a chi non ha letto la relativa opera, come per esempio: Chiamatemi Ismaele (da Moby Dick); Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera (dalla Recherche di Proust, ripreso da Sergio Leone in C’era una volta in America); Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo (da Anna Karenina).
Dell’importanza dell’inizio di una storia ha trattato Italo Calvino nelle sue Lezioni americane (vedi qui) (nell’appendice intitolata Cominciare e finire; molto famoso è il suo discorso sul momento del distacco dalla molteplicità dei possibili).
In realtà praticamente ogni autore (da Flaubert a Raymond Carver, da Čechov a Jack London) ha sottolineato quanto sia fondamentale un buon incipit.
Parecchi testi forniscono suggerimenti per ottenere un buon incipit, oltre naturalmente a un elenco dei modelli possibili, ma questa sezione del sito non offre indicazioni simili; si propone invece di effettuare consigli di lettura che sfruttino proprio le parole dell’autore – senza aggiungere particolari analisi del testo né considerazioni su cosa volesse dire l’autore -, come se chi legge potesse tenere il libro in mano e assaporarne l’inizio.
Il primo libro di cui si propone l’incipit è uno di quelli citati qualche riga più sopra: Moby Dick.
Moby Dick – pubblicato per la prima volta nel 1851 – è il romanzo più famoso di Herman Melville nonché uno dei più rappresentativi del Rinascimento americano; è un esempio di romanzo enciclopedico; è un romanzo tanto citato da essere impossibile tenere il conto dei film e delle serie tv in cui i personaggi leggono o parlano di Moby Dick; soprattutto è un romanzo che inizia così:
Chiamatemi Ismaele.
Alcuni anni fa – lasciamo perdere esattamente quanti – avendo poco o punto denaro nel borsellino e nulla in particolare che m’interessasse a terra, pensai di far vela qua e là per un po’ e andarmene a vedere la parte acquea del mondo. È un sistema che ho io per scacciar l’umor nero e regolare la circolazione. Ogni qualvolta che m’accorgo di star volgendo la bocca al torvo, ogniqualvolta che nell’anima mia umido e piovigginoso s’instaura novembre, ogniqualvolta che m’accorgo di soffermarmi involontariamente davanti ai magazzini di bare e di accodarmi a tutti i funerali che incontro, e specialmente ogniqualvolta la mia “ipo” (sta per ipocondria n.d.r.) prende un sopravvento tale su di me che c’è bisogno di un vigoroso principio morale per impedirmi di scendere intenzionalmente in strada e metodicamente sbatter giù il cappello dal capo alla gente… allora stimo sia ormai tempo di mettermi in mare al più presto possibile. Questo è il mio sostituto della pistola e della pallottola. Con una filosofica fiorettatura Catone si getta sulla sua spada; io con sobrietà ricorro alla nave. Nulla di sorprendente in ciò. Se soltanto lo sapessero, quasi tutti gli uomini, ciascuno secondo la propria misura, una volta o l’altra, nutrirebbe verso l’oceano un sentimento somigliantissimo al mio.
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