I racconti al crepuscolo di Stephen King

Stephen King, di cui abbiamo visto in precedenza un consiglio di lettura, ha raggiunto la fama grazie ai suoi romanzi, soprattutto a quelli trasportati sul grande schermo (a partire da Carrie), ma, come tanti, ha iniziato scrivendo short stories.

La raccolta Al crepuscolo, uscita nel 2009, comprende tredici racconti scritti da King in periodi diversi, come lo stesso autore racconta nelle interessanti note conclusive.

Alcuni racconti sono legati al sovrannaturale, all’aldilà – Le cose che hanno lasciato indietro e, almeno in parte, Pomeriggio del diploma, sono influenzati dallo shock dell’11 settembre  –, altri descrivono situazioni reali e, forse per questo, possono spaventarci anche di più.

I due che più mi hanno colpito sono Area di sosta e N.

In Area di sosta John Dykstra, professore di letteratura e scrittore, al ritorno da una conferenza, riflette sulle implicazioni psicologiche dell’aver usato lo pseudonimo Rick Hardin per pubblicare una serie di gialli di successo. È notte, e Dykstra si ferma in un’area di sosta per andare al bagno.

Stava per entrare nella toilette degli uomini quando fu bloccato da un’inattesa voce femminile alle sue spalle, leggermente distorta dall’eco ma maledettamente vicina.
  <<No, Lee>>, disse. <<Caro, no.>>
  Poi uno schiaffo, seguito da un tonfo, un tonfo soffocato di un corpo che cade. Dykstra capì che stava ascoltando l’ordinaria colonna sonora di una violenza fisica.

Il protagonista, a questo punto, si domanda cosa fare. E si interroga pure su come si comporterebbe il suo alter ego Rick Hardin. Naturalmente, noi lettori, mentre seguiamo le sue riflessioni e i suoi dubbi non possiamo fare a meno di chiederci cosa faremmo noi, nella stessa situazione.

N. invece è il classico racconto di una caduta verso l’abisso, una caduta multipla, che riguarda diversi personaggi. Così scrive King nella relativa nota:

La mia idea era di cercare di coniugare il tema di Machen (il racconto è fortemente influenzato da Il grande dio Pan di Arthur Machen n.d.r.) con il concetto di disfunzione ossessivo-compulsiva… in parte perché credo che in certa misura tutti noi ne soffriamo (non è capitato a tutti di tornare almeno una volta sui propri passi per assicurarsi di aver spento il forno e i fornelli?) e in parte perché in un racconto dell’orrore, ossessione e compulsione sono quasi sempre correi inconfessati. Riuscite a farvi venire in mente una sola storia horror di successo che non contenga l’idea di fare ritorno a ciò che più detestiamo e ci spaventa?

Share

Leave a Comment

Your email address will not be published.