Perché non si può scrivere della persona che si ama secondo Richard Ford

A volte capita, a chi scrive, di sentirsi rivolgere una certa domanda. È una domanda che non ha nulla a che fare con il livello di bravura o notorietà raggiunti dall’autore in questione, e che sicuramente verrà posta da una persona importante per l’autore stesso.

La domanda è: perché non scrivi mai di me?

A chiederlo può essere un genitore, un amico, un cugino. Ma soprattutto, a chiederlo, può essere la persona che si ama.

Questa è l’ipotesi peggiore, perché con un genitore, un amico o un cugino è più facile superare un malinteso, mentre con la persona amata un’incomprensione potrebbe via via diventare un macigno.

Ho parlato di malintesi e incomprensioni perché a questa domanda è difficilissimo rispondere. Già parlare di quello di cui si è scelto scrivere non è semplice; spiegare ciò che si è voluto – o dovuto – lasciare fuori è ancora più complesso. Inoltre, è molto probabile che pur riuscendo a formulare una risposta quanto più chiara e specifica possibile, la persona che ci ha interrogato non riesca a comprenderla davvero.

Sull’argomento ha scritto due pagine bellissime il grande Richard Ford. Il suo personaggio di maggior successo è Frank Bascombe, protagonista e io narrante dell’omonima saga (composta da Sportswriter, Il giorno dell’indipendenza, Lo stato delle cose e Tutto potrebbe andare molto peggio).

Nel primo, Frank ha trentasette anni e ha da poco divorziato. Questa vicenda lo ha così turbato che per tutto il libro sua moglie sarà chiamata semplicemente X, e solo nel successivo Frank riuscirà a usare il suo nome, Ann.

Il lettore scopre presto che il matrimonio di Frank e Ann ha subito un colpo durissimo, cioè la morte del loro terzo figlio, colpito da una patologia rarissima. Però poi, andando avanti con la lettura, si capisce che tante incomprensioni erano già dentro la coppia fin da prima, e che una riguardava proprio la scrittura. Prima di diventare giornalista sportivo (mestiere che svolge proprio in Sporstwriter), Frank aveva pubblicato una raccolta di racconti che aveva avuto un successo inaspettato. Tanto successo che poi, scrivere un romanzo, era sembrata la cosa più ovvia da fare, solo che Frank non è mai riuscito a completare nemmeno una prima stesura, per poi decidersi a lasciar perdere la narrativa e darsi al giornalismo sportivo.

Eppure Frank tornerà spesso, nella saga di cui è protagonista e narratore, a riflettere sulla scrittura creativa. Troverà molte ragioni che lo convinceranno di non essere fatto per scrivere narrativa (anche se in realtà, chi legge, avrà l’impressione che tali ragioni dimostrerebbero l’esatto contrario), e ne Il giorno dell’indipendenza, ricorderà pure quando la sua ex moglie si lamentava di non comparire nelle sue storie.

Quello che le dicevo era – e che Dio mi fulmini se non dico la verità, vent’anni dopo – che se fossi riuscito a rinchiuderla in parole l’avrei resa meno complessa di quanto non fosse, e ciò avrebbe significato che stavo già vivendo a una certa distanza da lei, che la stavo mettendo da parte come un ricordo o una preoccupazione (cosa che comunque accadde, ma non per quella ragione e non con successo completo).
In effetti avevo provato spesso a dirle che il suo contributo non era di diventare un personaggio ma di rendere “urgenti” i miei piccoli sforzi creativi essendo tanto meravigliosa da amarla: che dopo tutto i racconti erano solo parole che davano varia forma a misteri più grandi e impellenti ma altrimenti muti, come l’amore e la passione. In quel modo, spiegavo, lei era la mia musa; le muse non erano elfi femmina avvenenti e scherzosi che ti stanno alle spalle suggerendoti le parole migliori e ridacchiando quando ne trovavi una giusta, ma potenti forze di vita e di morte che minacciano di risucchiarti via dal fondo della tua barca a meno che tu non abbia un numero sufficiente di casse e di scatole – di parole, nel caso di uno scrittore – da mettere nella falla. (Ancora non ho trovato un sostituto per questa forza, e ciò può spiegare come mi sia sentito negli ultimi tempi, e specialmente qui, oggi).
Naturalmente ad Ann, coi i suoi modi eccessivamente fattuali, Michigan-olandesi, non era piaciuta la parte che pareva essere il mio segreto: aveva sempre ritenuto che le raccontassi delle balle. Se in questo stesso istante avessimo una conversazione intima e sincera, alla fine arriverebbe a chiedermi perché non ho mai scritto di lei. E io risponderei che è stato perché non ho voluto consumarla, legarla con le parole, metterla da parte, consegnarla in un “luogo” in cui sarebbe stata conosciuta, ma sempre per meno di quanto non fosse in realtà. (E ancora non mi crederebbe).

Non possoIl giorno dell'indipendenza Richard Ford dire con sicurezza quanto di Ford ci sia nei pensieri di Frank Bascombe. Da quello che ho letto sulla biografia dello scrittore, è evidente che la sua vita è stata completamente diversa da quella del suo personaggio. Questo però non conta molto, perché non credo che si possa costruire un personaggio dalla complessità e profondità di Frank Bascombe senza essere, almeno
in parte, vicini al suo modo di vedere le cose.

 

 

 

 

 

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