Monthly Archive: March 2018

A proposito di incipit – Come inizia Cent’anni di solitudine

Si potrebbero descrivere i lettori in due gruppi: quelli che scelgono cosa leggere in base all’immagine di copertina, al titolo o alla sinossi, e quelli che in libreria non possono fare a meno di aprire il volume che hanno tra le mani per leggere il primo periodo o la prima pagina. Agli appartenenti al secondo gruppo non interessa tanto sapere di cosa parla l’autore, quanto come parla. Vogliono assaporarne la voce, perché, se lo sceglieranno, procederanno insieme per un percorso di qualche centinaio di pagine. Esistono incipit così famosi da essere noti anche a chi non ha letto la relativa opera, come per esempio: Chiamatemi Ismaele (da Moby Dick); Per molto tempo, mi sono coricato presto la sera (dalla Recherche di Proust, ripreso da Sergio Leone in C’era una volta in America); Tutte le famiglie felici si assomigliano tra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo (da Anna Karenina). Dell’importanza dell’inizio di una storia ha trattato Italo Calvino nelle sue Lezioni americane (vedi link) (nell’appendice intitolata Cominciare e finire; molto famoso è il suo discorso sul momento del distacco dalla molteplicità dei possibili). In realtà praticamente ogni autore (da Flaubert a Raymond Carver, da Čechov a Jack London)…
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Avventure della ragazza cattiva di Mario Vargas Llosa

Quella fu un’estate favolosa.  Con queste parole inizia Avventure della ragazza cattiva, romanzo del 2006 dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa, premiato con il Nobel per la letteratura nel 2010. Il narratore-protagonista, Ricardo Somocurcio, guarda al passato, all’estate del 1950; lui ha quindici anni e nel quartiere di Lima in cui vive, Miraflores, succedono tante cose: concerti, eventi sportivi, anche il sole sembra diverso dalle altre estati, e soprattutto… Ma il fatto più rimarchevole di quell’estate fu l’arrivo a Miraflores, dal Cile, il loro lontanissimo paese, di due sorelle la cui presenza vistosa e il cui inconfondibile modo di parlare, svelto svelto, mangiando le ultime sillabe delle parole e concludendo le frasi con un’aspirata esclamazione che suonava come un <<pué>>, fece gurare la testa a tutti noi miraflorini che avevamo appena cambiato i pantaloni corti con quelli lunghi. E a me più che agli altri. Il narratore si innamora subito della maggiore delle due cilenite, Lily, le si dichiara tre volte, senza successo, e scopre proprio in punto di concludere la quarta proposta di fidanzamento che Lily non viene affatto dal Cile. La ragazza ha mentito, e quando diventa noto a tutti, per la vergogna non si fa più vedere….
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Cos’è un McGuffin?

Molti manuali di scrittura creativa parlano della tecnica del McGuffin, soprattutto nei capitoli dedicati alla suspense, e il termine viene usato molto spesso anche all’interno delle recensioni delle serie tv. Si tratta di una definizione recente, che non può vantare secoli di tradizione alle spalle, ma ciò non impedisce di individuarne i contorni in maniera chiara per evitare un uso scorretto. Pare che a coniare il termine sia stato Alfred Hitchcock che, nel saggio-intervista a lui dedicato da François Truffaut, Il cinema secondo Hitchcock, racconta: Si può immaginare una conversazione tra due uomini su un treno. L’uno dice all’altro: <<Che cos’è quel pacco che ha messo sul portabagagli?>> L’altro: <<Ah, quello è un McGuffin>> Allora il primo: <<Che cos’è un McGuffin?>> L’altro: <<È un marchingegno che serve per prendere i leoni sulle montagne Adirondack>>. Il primo: <<Ma non ci sono i leoni sulle Adirondack>> Bene: <<Allora non è un McGuffin!>> Come vedi, un McGuffin non è nulla Il McGuffin è di fatto un espediente, usato per portare l’attenzione del lettore o dello spettatore su un’azione, un oggetto o un’informazione che non ha altro scopo che portare avanti la storia. Restando a Hitchcock, nel suo Intrigo internazionale alcuni misteri sono fondamentali…
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